Sofia, un cuore gentile

Sofia è nata con una cardiopatica congenita: nel 2016 le hanno impiantato un defibrillatore sottocutaneo per via della sua cardiopatia ipertrofica

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La diagnosi alla nascita

Sofia vive a Cesena insieme al suo ragazzo, Gioele, e al loro gatto Aristide detto “la peste”. La sua storia parla di coraggio e speranza e a riflettere sul fatto che i ragazzi cardiopatici congeniti, giorno dopo giorno, devono spesso combattere una lotta silenziosa. Quella di una disabilità nascosta legata ad una patologia cronica invalidante che a volte non è possibile riconoscere subito.
“Sono nata il 18 gennaio del 2000 all’Ospedale Bufalini di Cesena. I medici hanno capito subito che qualcosa non andava e ci hanno mandato al Policlinico di Sant’Orsola di Bologna, dove al terzo giorno di vita sono stata sottoposta ad un cateterismo cardiaco. La diagnosi è stata quella di cardiopatia ipertrofica non ostruttiva. Ho iniziato ad avvertire i primi sintomi della mia malattia a 12 anni: non riuscivo a fare le cose più banali, come camminare, mi sentivo sempre stanca. A Bologna scoprirono anche che soffrivo di problemi di tiroide, ma nonostante l’Eutirox non riuscivo ancora a stare meglio. Così nel 2012 sono stata ricoverata per oltre due settimane, mi hanno fatto un secondo cateterismo. Mia mamma mi ha sempre fatto vivere la malattia in modo molto sereno, con un buon ricordo dell’Ospedale. È stata molto brava. Andare ai controlli in Ospedale era una gioia: ricordo che mi accompagnavano mia zia e mia nonna, al termine della visita magari ci scappava anche un regalino. Era comunque un bel momento, perché potevo trascorrere del tempo con mia mamma”.

L’incontro con Piccoli Grandi Cuori e l’importanza del supporto psicologico

“Durante un ricovero ho conosciuto Sara, la psicologa, che è dolcissima. La rivedevo ogni volta che tornavo alle visite, dapprima con mia mamma ed ora che sono maggiorenne, da sola. Quando andavo con mia mamma ai controlli spesso mi fermavo a parlare nello studio dell’associazione, al Policlinico. Purtroppo non sono mai riuscita ad andare alle feste dell’associazione, ma la seguo sempre in ogni cosa che fa. Credo che il supporto psicologico sia indispensabile, soprattutto in un contesto come quello ospedaliero. Io ne ho sempre usufruito e continuo a farlo anche tutt’ora. I ragazzi ne hanno bisogno, ed anche per i familiari è molto importante: le persone che vivono intorno al paziente, spesso soffrono più del paziente stesso. A volte in Ospedale mi è capitato di vedere mia mamma stare più male di quanto non stessi io. Per questo motivo è importante, per il genitore e per chi si avvicina al paziente cardiopatico, avere un punto fermo e sicuro per potersi confrontare e sfogare. Il percorso psicologico fuori e dentro il ricovero è molto importante”.

Sport, pillola anticoncezionale, tatuaggi e piercing

Non mi è mai pesato il fatto di non poter correre o fare sport, perché essendo molto sintomatica ho una resistenza minima agli sforzi. Però posso camminare e andare in bici, quindi il modo di fare attività fisica c’è. Nella mia situazione inoltre è sconsigliato prendere la pillola anticoncezionale, fare tatuaggi o piercing. Per il resto vivo la mia vita normalmente, sono stata anche sul deltaplano! Quando mia sorella me lo ha proposto mia sorella ho pensato “E quando mai mi ricapita?”.
Spesso i medici mettono le mani avanti, com’è giusto che sia, poi sta alla persona, e alla sua coscienza, decidere. Convivo con il mio problema al cuore da quando sono nata e ho imparato a conoscermi molto, a capire che cosa mi fa bene e che cosa no, so sempre come comportarmi anche di fronte alle situazioni nuove e se mi sento di fare una cosa senza mettere a rischio nulla, la faccio.
Per fortuna posso sempre consultarmi con il dottor Ragni, che è il mio angelo. Ogni volta che ho un dubbio, o devo farmi rinnovare il piano terapeutico, chiedo a lui e se non è disponibile mi rivolgo al Reparto”.

L’autonomia nel percorso di cura

“Crescendo, e anche grazie al percorso psicologico che ho seguito, mi sono resa conto di come i ricoveri e i controlli in ospedale abbiano consolidato il mio legame con mia mamma, Enrica.
Abbiamo un rapporto molto forte, quasi simbiotico a volte. Ora che sono via di casa e vivo con il mio ragazzo mi manca tantissimo.
Ho iniziato ad andare da sola alle visite di controllo, senza mia mamma, quando frequentavo l’Università a Bologna così lei poteva evitare di prendersi un permesso dal lavoro per accompagnarmi. L’ospedale era a 20 minuti a piedi da casa mia, mi facevo una bella camminata e andavo. Essere vicina al Policlinico mi faceva sentire davvero tranquilla. Un giorno, ad esempio, mi accorsi che avevo esaurito le medicine. Contattai uno degli infermieri, che mi invitò a recarmi in Ospedale e il dottor Ragni, che subito mi ha un po’ sgridata, mi ha prescritto subito la ricetta. A questo Reparto e ai medici e infermieri sono davvero tanto, tanto legata”.

Diventare grandi: patente, lavoro, invalidità civile

“La difficoltà maggiore che vivo è quella di essere vista solo per la mia cardiopatia. Al biennio del liceo, che coincide con il periodo in cui sono anche stata ricoverata in Ospedale, non mi trovavo bene con i compagni. I miei genitori mi hanno cambiato classe e incontrai una professoressa che fece trasferire la mia classe al piano terra. Con i professori ho avuto esperienze diverse: ricordo che quando ho iniziato a stare male, in terza media, il professore di ginnastica non mi credeva. Dato che non ero mai stata male prima, anche per me era una situazione del tutto nuova che non sapevo come approcciare e a mia volta spiegare. A fine superiori accadde lo stesso, e mia madre se ne accorse: davanti ad un colloquio insieme a lei scoppiai a piangere e finalmente lì il prof comprese la situazione. Oggi, che sono adulta, mi risulta comunque complicato raccontare la mia condizione, nonostante sia importante informare chi mi sta intorno. Ho sempre il timore di essere considerata solo per la mia cardiopatia, e non voglio: perché noi cardiopatici siamo tanto, tanto altro.
L’incubo patente? Ce l’ho! Ho preso la patente tardi perché ho preferito aspettare e concentrarmi prima sulla maturità. Ho avuto problemi a prenderla anche perché sono molto piccolina, non arrivo bene al volante e non vedo benissimo, per via di una sindrome correlata. È stata una procedura molto burrascosa, ma alla fine ce l’ho fatta. Il problema principale ora è quello del rinnovo. Il Reparto mi rilascia un certificato che devo portare alla visita, per via del defibrillatore, ma è un certificato che ha una validità ridotta come la visita stessa e quindi ogni anno devo rifare tutto. Conoscendo le tempistiche, ho già prenotato il rinnovo per il prossimo anno.
Ho l’invalidità civile, al 46 per cento, e il pass per invalidi. Per quanto riguarda il tema del lavoro, crescendo mi sono resa conto che ci sono tante situazioni rispetto alle quali non sei molto preparata. Quando le mie amiche hanno iniziato a fare la stagione al mare, io non ho potuto farlo. Con il mio problema al cuore non posso fare la cameriera, ad esempio, non posso portare pesi né correre. Quando sono andata a vivere con il mio ragazzo mi sono iscritta alle liste di collocamento mirato, ho fatto la visita medica in commissione, ho fatto domanda per il servizio civile e mi hanno presa. La questione lavoro è davvero complicata”.

Riconoscere, con “gentilezza”

“Se potessi esprimere un desiderio, ecco, vorrei non essere “ridotta” solo al mio problema cardiaco. In generale credo ci vorrebbe più gentilezza, bisognerebbe smettere di giudicare ed essere prevenuti. Perché quando ti interfacci con una persona non sai mai quello che sta passando. Penso banalmente a quando utilizzo il pass parcheggio per invalidi: la gente spesso mi guarda male, come se non avessi alcun diritto di usufruirne. Non sempre le problematiche sono visibili e sotto gli occhi di tutti. E poi ci vuole il supporto psicologico: per aiutarci quando ci sono momenti di sofferenza, momenti in cui è più difficile anche solo apprezzare quello che si ha”.