Linda, tra sfide e passioni nel suo percorso di paziente ACHD

Dalle difficoltà nel contesto scolastico alla passione per i tatuaggi, dal tema della patente a quello della maternità: le sfide di Linda, paziente ACHD con cardiopatia congenita

Linda, giovane cardiopatica congenita, alla festa dell'associazione assieme al suo cane

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La diagnosi: ventricolo unico

Linda ha 32 anni, gli occhi scuri e i capelli nero corvino, con una costellazione di tatuaggi che hanno un’iconologia solo a lei nota: li adora anche se per farli ha un po’ “osato”, si potrebbe dire…
Lei è nata con una cardiopatia congenita, il “ventricolo unico di tipo sinistro con atresia polmonare” e per questo motivo è in cura presso le Unità Operative di Cardiologia e Cardiochirurgia Pediatrica e dell’Età Evolutiva dell’IRCCS Policlinico di Sant’Orsola a Bologna, dove è presente la nostra associazione.
Ama follemente la sua cagnolina Mera, una cockerina che ha preso un posto speciale nel suo cuore da quando non c’è più Fidel, il cane dalle orecchie grandi che le ha tenuto compagnia per sei anni, in cui ci sono stati momenti molto difficili, come la pandemia. 
“Al settimo mese mia mamma ha avuto un distacco di placenta: quando l’ostetrica le ha auscultato la pancia, ha capito che qualcosa non andava. Sono nata con un cesareo d’urgenza, ero del colore dei jeans” (la cosiddetta “cianosi” di labbra o pelle, colorazione bluastra che caratterizza alcune cardiopatie congenite come nel caso di Linda). Poi è arrivata la diagnosi: ventricolo unico di tipo sinistro con atresia polmonare . Mi ritengo cazzuta e detesto le discriminazioni, vuoi per storia personale, vuoi per carattere. Da piccola ero sempre al centro dell’attenzione: per via del fatto che non potevo fare ciò che gli altri bambini comunemente facevano (tipo giocare, correre, fare sport) trascorrevo gran parte del mio tempo insieme agli adulti e per questo motivo ho iniziato a parlare prestissimo, ero molto sveglia, una bambina sicuramente più grande della mia età”.

Le prime difficoltà

“Alle elementari ho avuto tantissimi problemi nel relazionarmi con gli altri bambini: venivo spesso bullizzata perché non potevo fare le cose che facevano gli altri. Per fortuna i miei genitori non mi hanno mai tenuta sotto una campana di vetro: mi mandavano lo stesso in gita, anche se dopo qualche minuto a piedi mi stancavo e avevo già il fiatone, e per questo motivo mia mamma mi accompagnava sempre. Restava in disparte e nessuno la vedeva, ma io sapevo che se avessi avuto bisogno lei ci sarebbe stata. Da bambina volevo andare al miniclub, ai campeggi estivi: un paio di volte i miei mi hanno mandato perché avevo voglia di stare con gli altri, ma tornavo subito a casa perché non ce la facevo: mi stancavo troppo fisicamente e mi prendevano in giro per la mia cicatrice. Ricordo quando in prima superiore chiesi loro di andare a ballare, avevano paura che mi potessi sentire male. Mia mamma parlò con Emanuele – un ragazzo cardiopatico come me con cui ho stretto una forte amicizia – in mia presenza, nella speranza che lui mi dicesse di non farlo, ma lui le rispose: “E perché no? Io ci lavoro in discoteca!”. 

La cicatrice come dichiarazione di essenza

Linda crescendo ha sempre cercato di vivere una situazione di normalità e grazie alla sua tenacia è riuscita a trovare la sua quotidianità facendo esperienze al pari dei suoi coetanei. Una dichiarazione della sua essenza e della sua persona. 

“Oggi ho un lavoro, vado a ballare, in palestra e faccio movimento (posso fare sport ma non agonistico), mi piace moltissimo ascoltare la musica e andare ai concerti è una delle mie principali passioni, come quella dei tatuaggi che non faccio per puro vezzo. Ogni segno sulla mia pelle, come la cicatrice, è in qualche modo una dichiarazione della mia essenza e della mia persona. 


“Seguo rigorosamente il programma di follow up, di visite di controllo con lo staff medico del S. Orsola: nella mia identità di ACHD (Adult with Congenital Heart Disease, sono i pazienti che hanno più di 16 anni ed hanno una malformazione congenita del cuore o dei grandi vasi) ho incontrato diversi ostacoli di fronte ai quali non mi sono di certo arresa”. 

Le amicizie con i ragazzi ACHD

I genitori di Linda, Valtiero e Doriana, sono tra i fondatori dell’associazione. Valtiero in particolare da sempre si occupa della realizzazione delle pergamene per le bomboniere solidali, che aiutano la raccolta fondi a favore di Piccoli Grandi Cuori.
“Conosco l’associazione da quando ero piccolissima, insieme ai miei genitori partecipo sempre alla festa annuale che si tiene a San Lazzaro, un’occasione anche per incontrare i ragazzi ACHD come me: con alcuni di questi ho stretto amicizie importanti. Ho usufruito del servizio di assistenza psicologica durante i vari ricoveri in Ospedale e credo che il supporto psicologico sia fondamentale: in quei momenti così complessi avere qualcuno che ti spiega, e ti accoglie, è fondamentale. In questo i miei genitori sono stati essenziali: mi hanno sempre spiegato tutto e non mi hanno mai nascosto nulla. Ma ci sono sfide, argomenti da affrontare per noi cardiopatici congeniti che i nostri genitori, per quanto possano essere al nostro fianco, non sono in grado di gestire. Ho accettato la mia cicatrice e ho imparato a conviverci, ma non perché mia mamma mi diceva ‘guarda, non è niente'”. 

Diritti e nodi da sciogliere

I cardiopatici adulti ACHD come Linda hanno diritti che talvolta si scontrano con le difficoltà dettate dall’applicazione delle leggi o dalla scarsa conoscenza sul tema.
Il tema dei diritti, in particolare, è un tema sul quale l’associazione ha scelto di lavorare attraverso i servizi di sostegno psicologico, sociale e socio-assistenziale. Alcuni dei nodi da “sciogliere”, per questi ragazzi che diventano adulti, sono la patente, lo sport, la sessualità, l’affettività, la genitorialità. Ma anche i tatuaggi e i piercing che alcuni giovani vogliono fare anche se i medici li mettono in guardia dai rischi che ne possono conseguire (endocardite batterica).
“Prendere la patente è stata una rottura incredibile. All’inizio la dovevo rinnovare ogni anno, ora ogni tre anni. È una situazione assurda, ogni volta devo chiedere al mio datore di lavoro mezza giornata di ferie. È uno spreco di soldi, e di tempo. In sala di aspetto, quando vado per il rinnovo, ci sono per lo più persone anziane”. 

Non avere figli: una scelta

Linda è una persona “childfree”: non avere figli, per lei, è una scelta. Ma non perché la maternità non rientri nei suoi progetti di vita.
“Fino ai vent’anni anni non ho pensato all’ipotesi di diventare mamma, mi dicevano “sì, poi quando sei grande ne parleremo”, immaginavo solo che sarebbe stato molto complesso scegliere di intraprendere una gravidanza. Ad un certo punto mi sono sottoposta a tutti gli accertamenti medici necessari: una volta ricevuti gli esiti mi sono confrontata con l’equipe medica che mi segue scorporando uno ad uno tutti i dettagli e le possibili complicanze che una gravidanza potrebbe portare.
I medici mi hanno spiegato tutti i pro e i contro di una gravidanza nella mia condizione: io, liberamente, ho scelto di non affrontarla. Sono viva quasi per miracolo, ho sofferto e non posso pensare di dimenticare nuovamente una vita tutto sommato “normale” come quella degli ultimi vent’anni. Una vita che mi voglio godere, perché mi piace molto. I miei genitori hanno già dato abbastanza, e questo pensiero è anche per loro. Non me la sento di lasciarli ancora una volta fuori dalla sala operatoria, ecco”. 
Per Linda la maternità non rappresenta una tappa obbligata della sua vita, ma teme di essere giudicata, per questo.
“È difficile ascoltare la mia posizione, me ne rendo conto, perché potrebbe togliere speranza alle donne nella mia condizione. Ma ciascuno di noi è diverso e io voglio essere rispettata per quello che sono e per quello che scelgo di fare o non fare”.